PRIMA LETTERA 1983
Caro figlio,
ti aspettavamo con ansiosa gioia. Eravamo sicuri che saresti stato bello, forte, sano, dolce, il massimo insomma. Per te avevamo preparato il meglio: Amore, clinica, corredo, giochi. Tutto era andato bene nel corso dei nove mesi di attesa, quindi avevamo la certezza che l’epilogo sarebbe stato felice. Nessun dubbio, niente. Proiettati insieme ai parenti nell’attesa di conoscerti. Ma all’ultimo momento, quando stavi per nascere, l’imprevisto e l’imprevedibile per noi e per i medici accade. Il cordone ombelicale stretto intorno al collo ti soffoca. Nasci asfittico: niente attività respiratoria, niente attività cerebrale. Solo stentati battiti cardiaci testimoniano la tua vita. I medici tentano disperatamente di strapparti alla morte. Per quindi giorni la lotta è dura, di esisto incerto. Ma noi siamo sicuri di una cosa: vogliamo che tu viva, Signore fa che viva. Sarai un bambino cerebroleso, la vita incerta e limitata. Non importa, diciamo, ti vogliamo ugualmente vivo; rifiutiamo la morte come soluzione al problema della vita, la vita sempre piuttosto che la morte. Dopo due mesi la battaglia è vinta: vivi, vieni a casa con noi dall’ospedale. Le nostre giornate sono segnate da impegni verso di te, che hai tante, tantissime esigenze. Ci dai preoccupazione, angoscia e gioia. La tua situazione è grave; cerchiamo, per aiutarti, soluzioni positive, risposte ai tuoi problemi. Anche di fronte al più nero pessimismo e scetticismo dei medici, pensiamo che puoi e devi essere aiutato, che deve esserci la possibilità di aiutarti. Non accettiamo mai frasi come “è un vegetale, ci sono quasi nulle possibilità di miglioramenti! Vi darà solo problemi! Forse era meglio che non fosse stato salvato!”.
NO, NO e poi NO. Per noi non è così: sei il centro e la fonte della nostra vita. Ci fai vibrare sentimentalmente al massimo, diventi il nostro stato d’animo. Non sei un vegetale, ma un bambino come tutti.
Impariamo gradualmente a conoscerti ed interpretarti. Ci addolora certo, moltissimo, la constatazione dei tuoi limiti, soprattutto quando crescendo anche tu ti rendi conto di ciò e soffri. Ma possiamo aiutarti; abbiamo trovato alcune, se non tutte le risposte ai tuoi problemi.
La tua presenza ora, dopo alcuni anni, ci è diventata indispensabile; i tuoi problemi si sono attutiti, sei sulla strada del miglioramento. Anche noi siamo migliorati; ci hai aperto le porte del mondo, siamo nati con te. Grazie a te ci siamo resi conto degli enormi problemi che hanno gli handicappati e le loro famiglie; mancanza di solidarietà, di strutture, di leggi. Solo sterile sentimentalismo fatto di pietà o indifferenza o rifiuto. Ma non si può ignorare la realtà e chiudersi nella propria torre d’avorio. Tutti abbiamo diritti, gli handicappati hanno diritti più di tutti gli altri, perché hanno più esigenze, tutto qui. Sono come tutti e debbono vivere come tutti. Noi abbiamo sperimentato solidarietà, partecipazione, ma la nostra è una esperienza atipica, isolata.
Ti ringraziamo, amore, per averci fatti vivere la totale apertura e disponibilità, per averci fatto superare pregiudizi, per averci regalato tante verità. Sei diventato in un certo senso nostro maestro e la fonte delle nostre conoscenze e ricerche più stimolanti. Ti siamo grati di tutto ciò e non ti cambieremmo con nessun altro bambino al mondo. Certo i problemi rimangono, sono gravi, gravissimi; ma noi non abbiamo mai permesso che la gioia di averti con noi fosse schiacciata dall’angoscia per la tua situazione. Abbiamo lottato e lotteremo ancora certo, per te, con te, i tuoi amici e noi. Ti dedicheremo le nostre migliori energie, tutto il tempo, ma sarà uno scambio reciproco, una crescita verso mete desiderate. Le delusioni e le sconfitte ci sono state e ci saranno, ma non ostacoleranno il nostro cammino, il nostro viaggio insieme nella vita. I tempi degli occhi offuscati dalle lacrime dopo diagnosi disperate e disperanti, il nostro vagare per la città senza meta, alla ricerca di mille perché, hanno lasciato il posto al riso, alla serenità.
Forse non per tutte le famiglie con handicappati è così, ma noi ci auguriamo che lo diventi, che un figlio handicappato non segni la fine di una vita, ma costituisca lo stimolo a scelte responsabili, al rifiuto di mete superflue e inutili. Che diventi insomma un grande elemento di crescita. C’è un aneddoto che ci piace ricordare: Dio, quando sa che deve venire al mondo un bambino con problemi, si chiede quale sia una famiglia tanto buona che un figlio handicappato la possa rendere migliore. Questo è uno spirito che ci piace; i problemi rimangono, sono reali, veri, a volte assillanti; ma non bisogna lasciare che l’handicap si frapponga tra noi e nostro figlio. Noi non abbiamo un handicappato-bambino, ma un bambino-handicappato. Lo spirito e l’anima, grazie a Dio, sono uguali in tutti.
Con amore la mamma e il papà.